Le moto …

Le moto ….

Una storia che parte da lontano.
La storia dei mezzi a due ruote e motore, che mi sono divertito a guidare.
E che spero di riuscire a riprendere a breve ….

il MOSQUITO … (1972 ∼ 1974)

Beh … non era una moto.
Era un trabiccolo che si attaccava sotto la biciletta. Sul telaio o sul foro del cavalletto.
E la trasmissione era tramite un cilindro rigato che premeva sulla ruota posteriore.

Ovviamente era “di sfroso“.
Nel senso che allora (’72 o ’73) non c’era la targa per i cinquanti; ma solo il c.d. foglietto di proprietà, una specie di documento per altro senza indicazioni del proprietario.

Erano i primi anni ’70.
Con gli amici andavamo dal “ferovecio” (il deposito del ferro da riciclare, che era in periferia e gestito dal papaà di un amico); trovavamo sempre qualche vecchio Mosquito, spesso mancante di parti, o grippato, o arruginito.
E poi con pazienza, con tre o quattro ferrivecchi e rimasugli vari, assemblavamo un Mosquito funzionante (di 3 o 4 ferracci in genere ne veniva fuori uno funzionante).

Poi abbiamo fregato la bicicletta del nonno (era l’unica solida e su cui si poteva montare il Mosquito) e abbiamo messo quell’affare, un frankestein ricavato da tanti tochi arruginiti … e si provava ad andare in giro per la via.

Intanto, non c’era frizione nè ovviamente cambio.
C’era una leva che spostava il motore consentedogli di appoggiarsi o sganciarsi dalla ruota.
Cioè, in prossimità di un eventuale stop, o saltavi proprio lo stop … o arrivavi a pelo e poi sganciavi il motore. Oppure decelleravi pian piano … e poi mettevi la levetta dell’acceleratore “a zero” e il motorino si spegneva.

Per ripartire bisognava pedalare, e poi appena c’era un po’ di velocità, si ri-agganciava il motore alla ruota spostando la leva che era a lato dei pedali (non proprio pratico!) e nel 90% dei casi ripartiva.

Il copertone posteriore per attrito e strisciamento col rullo metallico, si consumava più velocemente della suola delle scarpe (indispensabili suole in buone condizioni per aiutare la frenata, dato che i soli freni della bicicletta non erano una garanzia …)

Il rumore era da motogp; anche perchè non riuscivamo quasi mai a recuperare la marmittina/silenziatore, che era sempre disintegrata. 

A volte si “ciucciava” la benzina dalla macchina del papà (se aveva il serbatoio abbastanza pieno, altrimenti se ne accorgeva). Ma spesso fregavamo l’alcool denaturato alla nonna per riempire il serbatoietto.
Olio per la miscela, … era olio motore, in percentuale “a spanne”.
E tutto sommato andava anche benino.
Non so quanti giri per le strade del quartiere abbiamo fatto, ma anche quante grippate!

Quel trabiccolo era nato nel 1946, ed è stato prodotto fino al 1960.
Era di 38cc, e erogava … 0,8CV (dichiarati ! Forse erano anche meno).
Si arrivava a superare anche i 30km/h, e con 1 litro si facevano 60-70km. Con l’alcool molti meno.

Curiosità: nel 1952 un Mosquito fu messo alla prova in un circuito francese; e fu usato ininterrottamente alla media di 30km/h (quasi a manetta), continuativamente per 55 giorni e 55 notti.

 

la VESPA, anzi il PX 125 (1977)

Dopo aver rotto i maroni per un anno al compagno di merende che ogni tanto mi prestava il vespino 50 (ovviamente era già un 65-70cc), ai 16 anni ho fatto subito il patentino (che allora per i 125 era solo teorico).
E arriva la vespa, anzi “il vespone”.
Era da poco uscito l’erede dei grandi vesponi, denominato PX (sembra che P fosse il Progetto per i nuovi telai grandi, ed X … boh, forse c’entra con l’accensione a puntine, dato che poi è uscito il PE con l’accensione elettronica).

Mi ricordo che per ‘sto PX125 abbiamo speso una cifra vicina alle 640.000 lire …
Era bianca, ma è diventata blu dopo un incidente nel 1978.
Era una prima serie, senza miscelatore, ma con già le frecce!
E la ruota di scorta (sempre 10″) sotto il bandone sinistro.

I 125cc sono durati poco.
E’ diventata 165 (circa) dopo poco. Allora Pinasco era il secondo nome di Piaggio.
Quel kit Pinasco non era un gran chè; il cilindro (in ghisa) era alesato fino al limite, diciamo forse che in trasparenza si poteva vedere il pistone scorrere …
E inevitabilmente grippava ogni treperdue.

Con l’aiuto di un tornitore ho anche provato ad aumentare le microrigature della superificie laterale del pistone, e con una miscela al 3-4% potevi rischiare qualche giro lungo.
Ma alla fine la soluzione era di … non eccedere i 150cc a parità di corsa.

L’avrò smontata e rimontata 12345 volte.

Dato il maggiore peso e la maggiore dimensione del frontale, ed anche un cambio un po’ più corto, per quanto si potesse taroccare le ET3 erano sempre davanti. 

Dalle gite notturne sui colli (con le sfide anche sullo sterrato), alla Yugoslavia (allora era ancora YU), fin alle fughe dalla caserma di Cividale di mio fratello, non so quanta strada ha fatto quella vespa. Ma di certo tanta.
E come tutte le vespe di un tempo, indistruttibile.
Una candela di scorta, il filo acceleratore e frizione (andava bene anche per le marce), la chiave tripla (candela, 11 e 13) e … avevi tutto il necessario.

 

il “CROSS”: Aprilia MX250 (1979)

Dopo aver passato il vespone a mio fratello,
e dato che nei colli qui intorno c’era ancora un certo “movimento” tra enduro e cross semiabusivo,
e dato che alcuni amici erano a smanettare ogni domenica,
… tento anche io di strafare.

E’ il periodo (1979-80) in cui nella nostra zona c’è ancora voglia di cross, e ci sono ancora posti dove si può “farsi del male” e consumare miscela senza venire arrestati (anche se iniziavano già le prime limitazioni e chiusure).

Io non avevo una preparazione specifica, e forse non ero così fuori di testa come invece era richiesto (indispensabile) per partecipare a qualche garetta della zona.

Erano gli anni in cui esistevano solo 2 moto per il cross: o KTM o Maico.
Controcorrente io invece … Aprilia MX250.

Una cosa proprio controcorrente; moto molto più compatta rispetto alle teutoniche, maneggevolissima, con un motore (HIRO, ancora ad aria) che faceva almeno un 15% di CV sopra gli altri. E già presentava il carburatore Mikuni, un qualcosa che allora gli appassionati veneravano (era avanti 5 anni rispetto ai Dell’Orto nostrani e ai Bing dell’epoca).
Il problema era che i CV arrivavano molto in alto, e soto proprio non c’era polpa. In pratica bisognava andare a manetta “quasi sempre”; che nella logica di una gara ci può stare; ma che se non hai il coraggio di tenere aperto sempre … ti freghi.
Inoltre le dimensioni ed il peso (piccola, leggera) facevano si che fosse più un … canguro incazzato e non proprio un caprone di montagna. Il Maico sembrava una gondola a Venezia al confronto …
Insomma, serviva tanto manico che non c’era.
E serviva tanta schiena, nel senso che bisognava essere molto allenati per tenere in pista quell’affare.

Me lo aveva venduto direttamente il sig. Beggio, il patròn di Aprilia (che allora non era ancora il grande marchio che poi è meritatamente diventato).
Sono andato a prendermela a Noale, con un carrello in prestito attaccato ad una macchina in prestito …

Anche su questa abbiamo cercato di metterci le mani. Provando carburatori diversi per vedere se guadagnavo coppia a scapito magari di qualche CV (allora a Padova c’era un magazzino Dell’Orto che avea di tutto, ogni misura di getto, di spillo, di ricambio).
Oltre a carburatore e pacco lamellare, sono arrivati poi gli Ohlins, e devo dire che la differenza si è subito sentita.

Però … ogni tanto andavo per terra e … quanto male mi sono fatto ….
E servivano soldini; per correre anche amatorialmente, servivano gomme (quanti copertoni!), ricambi, riparazioni, revisioni, … nono era facile starci dentro.

E ad un certo punto, la schiena ha detto stop. Ed ho capito che forse era meglio se mi “spostavo” sull’asfalto.

the big one: Moto Guzzi V7 Sport S3 (1981)

Ho semi-barattato la MX250 con un V7 Sport.
Perchè tutto sommato mi piacevano molto le italiane (nonostante ormai il mercato avesse detto Jap).

E’ stata una cavolata.
Alla fine era una moto stabilissima (come tutte le Guzzi Sport) ma con una trasmissione, un cambio ed una dose di vibrazioni … ormai non accettabili.

L’unico rimpianto è non averla tenuta; oggi varrebbe qualche soldino.

Fortunatamente un amico che aveva distrutto il suo V7 me lo ha comperato (e c’ha messo il motore su una specie di California modificato).

Laverda 1200TS (1982)

Ed ecco che il buon amico Luciano Zuccarelli (che è stato anche commerciale Laverda prima di aprire la Jolly Bike a Padova) mi propone una elegantissima Laverdona.

Bellissima, imponente; le Jap sembravano dei giocattolini in confronto.
Aveva il motore a 180° ma già con accensione e generatore su due lati (diciamo carter simmetrico).

E tutto sommato andava molto bene, non vibrava neppure molto, e proteggeva bene nei viaggi (io e anche passeggero).
Motore con copia da camion, stabile ma “dura” nel misto (come tutte le italiane del periodo), ideale per il turismo.

Sono iniziati i primi viaggi “impegnativi”; ed ho anche comperato la mia prima tuta da moto in pelle (fatta su misura da SpeedMode, a Padova). Ce l’ho ancora. Ma non ci entro neppure se non respiro !

Era solo “alta” per la signora, era come un condominio senza ascensore; per salire e scendere in effetti aveva qualche difficoltà. Ma con le borse (Krauser) era possbile andare in capo al mondo.

½

Laverda 1000 Jota (1983)

Sempre grazie all’amico Luciano, c’era un’occasione per passare al nuovo motore 120°.
Con una bellissima Jota 120.
Rosso scuro metallizzato con sfumature in nero micalizzato, e filetti dorati di contorno.

Sempre impegnativa nel misto data la dimensione, ma per me che ero alto 184cm era perfetta, ci stavo proprio bene, senza dovermi rannicchiare come con le giapponesi.
Cupolone dimensione SanPietro, quando viaggiavi allegro in autostrada era come essere in una bolla d’aria.
E il famoso manubrio ultraregolabile brevetto Laverda è una cosa che forse dovrebbero usare anche oggi!

Bel sound, vibrazioni neppure tante (i primi silent block!), per accelerare serviva l’avambraccio di Hulk (aveva i Dell’Orto con molle maggiorate e pompetta di ripresa).
Soffriva intorno ai 3000g/m perchè avevano messo un’accensione ad anticipo variabile con un salto mostruoso attorno ai 3000 … 

Peccato che ormai era finito il tempo dei motoroni italiani ed inglesi. Ducati viveva (poco) di rendita ancora con il vecchio 900, Guzzi con il Le Mans modificato faceva qualche pezzo, sparite le british, Morini ormai non poteva più continuare con il 3½ e 500, Benelli ha provato con il magnifico 906 ma senza convinzione, …

 

Laverda 1000 RGS (1984)

Era il canto del cigno di Laverda.
Ma quando sono stato invitato a Breganze alla presentazione ed alla prova, me ne sono innamorato subito.
E se oggi la trovassi in buone condizioni, la ricompererei subito! (ma anche qui le quotazioni stanno impennandosi. Se avessi potuto tenrla !)

Il motore era sempre il 1000 a 120° con i nuovi silent block (roba che per le italiane era fantascienza).
Con varie modifiche per guadagnare un po’ di CV, per spostare il cambio a sinistra, e per un migliore raffreddamento.

La carena era qualcosa di futuristico; uno shuttle; con il tappo serbatoio nel frontale.
Pedane regolabili su piastra che ruotava (allora un brevetto Laverda). Telaio abbassato (finalmente), sella mono e biposto (un po’ posticcia …), cavalletto che finalmente si poteva usare senza rischiare un’ernia …

Poi è uscita anche la versione SFC con kit per 10-15CV in più, freni modificati (i primi “serie oro”), modifiche alla forcella …
Si viaggiava come un missile in totale protezione, con un sound fantastico.
Sopra i 3000 era un frullino che … nessuna jap dava quella senzazione. E che coppia !

E con questa abbiamo spostato “in là” le distanze e le mete.
Anche la signora gradiva.
Ma come detto, ormai Laverda chiudeva e bisognava (a ragione) andare sul made in Japan.

Yamaha XJ900 (1986)

Ormai le Jap erano andate avanti.
Avevano superato i grandissimi limiti di telaio e freni degli anni ’70 quando le famose bare volanti (soprattutto Kawa e Honda) avevano segnato le stradine dei colli con tanti mazzi di fiori …

Quando ho cambiato lavoro, e volevo affrontare un qualche viaggio ancora più lontano (con la signora), la scelta è inevitabilmente caduta su una giapponese.
Però volevo un quaclosa di tranquillo, turistico.
Ed ecco il più longevo e classico pezzo Yamaha: la XJ900.

Un 4 cilindri (dopo anni di 1, 2 e 3 cilindri …), con una frizione che si aziona con un dito, un acceleratore che sembra quasi elettronico, lineare, fluida, con un cardano che sembra una cinghia, … insomma, un altro pianeta.

Però per chi come me è alto … anche cambiando il cupolino non c’era verso di essere più riparati. E anche il passeggero soffriva molto di turbolenze.
Potenzialmente potevi viaggiare da 0 a 8000g/m, da 5 a 180km/h, ma era impossibile reggere il ritmo autostradale per lungo tempo.

Maneggevole ma molto leggerina e un po’ ballerina quando c’era passeggero e bagagli, alla fine dopo aver provato varie modifiche al cupolino, abbiamo concordato che pur essendo il miglior compromesso nipponico, non era adatta a noi.

Yamaha XVZ12TD Venture Royale (1987)

Pensare ad una tourer come un’Harley era improponibile; l’HD era ancora molto grezza e poco propensa alle curve europee. E non ero pronto per una nave come il Goldwing (l’alternativa all’epoca).
Mi sarebbe piaciuto anche un po’ di brio (tutto relativo) …
Però serviva una moto “comoda”, perchè l’obiettivo era divertirsi in coppia.

Di nuovo Luciano mi segnala la possibilità di procurarsi (in Francia) un’alternativa che Belgarda (importatore italiano) come sempre non voleva importare.

Se non è comoda questa: Yamaha XVZ12TD Venture Royale.
In pratica un GoldWing made in Yamaha.
Il motorone 4 cilindri a V, 16valvole, del V-Max !
Se vogliamo era un V-Max carenato.
Molto molto più piacevole del piatto GoldWing. Un motore che aveva carattere (si dice così?). La ciclistica era un po’ penalizzata dal peso in alto, ma il miglior telaio e le ottime sospensioni (pneumatiche) ti consentivano (con un po’ di manico) di perdere il GoldWing appena arrivavano le curve.
Solo le borse erano un po’ piccoline per la stazza.
Aveva il cupolone regolabile (che però bisognava allentare delle viti), i manubri pluriregolabili (utilissimi), e le pedane guidatore regolabili (scorrevano avanti/indietro).
E però … era un casino lavarla, tenerla pulita. Con tutte le prese d’aria, le fessure, le bocchette, il mega impianto (estraibile), quando dovevi asciugarla ci perdevi un pomeriggio.

E qui si viaggia lontano. Molto.
Spagna, Yugoslavia, e molta Italia.

Yamaha XVZ13TD Venture Royale (1989)

Succede che un cugino compagno di alcuni viaggi vorrebbe anche lui un Venture. Gli propongo il mio e … era appena disponibile (sempre di importazione!) il nuovo Venture.
Allora Belgarda non ne voleva sapere di puntare sul touring, sicchè serve sempre rivolgersi al “parallelo”. E riesco a recuperare (from Germania) il modello successivo, il Venture Royale 1300 TD.

Guida ancora più sborona, borse grandissime (finalmente) e praticissime, veramente dei bauli.
Ciclistica rivista in ottica touring, che però ti lascia tirare un po’ più di quello che la stazza suggerisce.
Comodissima; la signora conferma che era ancora più comoda del Goldwing (c’era persino lo schienale reclinabile).

Nera con filetti dorati, ed un impianto stereo che allora faceva tanto discoteca ambulante. Vani e borsette dappertutto, prese d’aria riviste con la possibilità di un buon getto caldo d’inverno, ben fatte le protezioni, eccezionale la carena che ripara ma non genera vortici.
Manubrio regolabile, motore che allo spunto consumava il copertone posteriore …. ed un primo abbozzo di ripartitore di frenata (una evoluzione della frenata integrale tipo Guzzi).

Tanta strada, in giro per l’Europa. Grandissima moto.

Yamaha XVZ13TD Venture Royale (1992)

L’ho cambiata con una quasi uguale dopo che il cugino ha voluto la mia.
Allora non era facile averle perchè Yamaha non le importava ufficialmente. Perciò ho recuperato un’altra Venture di ultimissima generazione (i soliti aggiornamenti) sempre dalla Germania, e …

Con queste 1300 abbiamo fatto Spagna, Portogallo, un po’ di volte in giro per la ex Yugoslavia, un paio di volte in giro per la Turchia, per Creta, …

La seconda era un bitono grigio metallizzato molto elegante. Con tanti aggiornamenti a copia del Goldwing: aveva i comandi al manubrio, uno stereo rivisto (sempre estraibile con chiave), il CB, borsono grandi con specchio e lucette varie, sellone maggiorato e riscaldato, …

Purtroppo è sempre la stessa storia: l’importatore puntava tutto sulle sportive, e non ha mai spinto sulle serie “Star” (c’erano anche i modelli a 2 cilindri più piccoli), e perciò alla prima occasione (banale scivolata), inizia il calvario per recuperare i pezzi.

Avendo in programma un giro impegnativo, decidiamo di andare sul classico e rimando il Venture ad un venditore tedesco che ha richieste. 

Honda GoldWing GL1500SE (1994)

I modelli veramente touring sono pochi.
C’è un po’ di BMW (con la serie K che proprio non  mi piaceva), Kawasaki non importa le serie USA (ad es. Voyager),  idem Suzuki (in USA circolava il Cavalcade) Yamaha non ne vuole sapere, … la scelta è obbligata.

E alla fine, anche per avere un minimo di assistenza, anche noi andiamo sull’unica regina del touring disponibile sul mercato: Honda Gold Wing 1500 SE.
Ero riuscito a recuperare (di importazione ovviamente!) una versione speciale, due toni di blu metallizzato con particolari dorati. Importata from USA parallelamente da un concessionario di Bolzano.

E la inauguriamo con un giro fino in Turchia, Siria, Giordania, fin quasi in Arabia e ritorno.
Niente da dire: una gran moto, un camion.
Non mi prende, non mi entusiasma; un po’ per la ciclistica che impone un diverso modo di guida (ma efficacissimo!).
Un po’ per il motorone, piatto e regolarissimo, zero vibrazioni e sound da Porsche, ma indubbiamente quasi elettrico.
Un po’ per la posizione di guida, troppo bassa per chi è più di 1,80; e ultrarilassata che ti obbliga ad un’andatura soft quando invece motore e telaio ti lascerebbero osare un po’ di più.
Però ha girato il medio oriente in agosto senza dover neppure raboccare l’olio!

Nel 1996 arriva la prima bimba.
E per la moto urge pausa di riflessione.
C’è l’occasioen di piazzarla bene e … la cedo.

Honda GoldWing GL1500SE (1999)

Appena la bimba può stare in seduta, concordo con la signora di assegnarle uno scooterone, e io mi allestisco un nuovo GoldWing 1500 con tutte le modifiche per ospitare come si deve la bimba.
Il GL è sempre special ed. (anniversary), sempre importazione parallela (mod. USA con mega stereo, CB, ecc ecc; perchè in Italia bisogna sempre togliere pezzi e poi metterteli come opzione a pagamento?).

Mi preparo una modifica a sella e schienale per allestire un seggiolino di sicurezza per la bimba con 2 cinture di sicurezza (utilissime, dato che più di qualche volta si è addormentata in viaggio!)
La signora segue con il suo scooterone.

I giri sono meno impegnativi ma … siamo in tre.
E ci si diverte in tre.

Fino a che arriva il bimbo. assieme anche a un po’ di casini sul lavoro.
Altra pusa.
Il GL l’ho venduto in strada; cioè, stavo lavandolo ed è passato un tizio che … si è fermato, ha visto la serie speciale e mi ha chiesto su 2 piedi se la vendo. Mi ha dato un anticipo immediatamente e la settimana dopo è venuto a saldare e a prendersela. 

Honda GoldWing GL1800 (2010)

Dopo un po’ di anni, cresce lo scooter della signora e … cresce il Gold Wing.
I bimbi ormai possono veire in giro tranquillamente, e così arriva un 1800 (sempre import from USA) full, airbag, CB, impianto stereo da millemila watt, bianco, e che effettivamente non lascia spazio ad alcun rimpianto.

Con questo nuovo telaio è effettivamente molto più maneggevole, ma è anche ancora più basso. E’ il vero grande difetto del GL (almeno per chi è più alto della media giapponese).
Le borse sono un po’ ostiche da sfruttare perchè l’interno è sagomato, ma comunque il carico è buono grazie al mega bulone.

Freni e sospensioni adeguati, e il motorone da 1800 è ancora più camion! Da 400 giri fino a max 5000 è sempre in tito. Eccezionale.

Crescono anche i DRUM: i giri nei balcani marchiati “Do’ Ròe e Un Motòr” che portano un gruppetto di attempati “motorari” a scorazzare per SLO, HR, BiH, SRB, MNE, MNK.
Attempati sì, ma che però sfiancano i più giovani pischelli che non reggono 6/700 km di fila sulle stradine di montagna.
Con questo GL mi sono trovato anche in fuoristrada e su una mulattiera di pietre e ciottoli … tante best… ma alla fine ne sono uscito senza danni (anche se ci ho messo un’ora in più di Simone che aveva la KTM …).

Poi però la salute (problemi agli occhi) dice “occhio”.
Serve una lunga pausa e … obbedisco.
Sono passati un po’ di anni e la situazione è ora meno grave.
Adesso vediamo se ritornare in sella con un qualcosa di poco impegnativo, o magari aspettare la moto del figlio (che è in procinto di fare il passo, dopo la pratica con lo scooter) e poi fregargliela qualche volta.