Little Big Horn …

a proposito di Little Bighorn …

Nel 1875, la corsa all’oro nelle Black Hills provoca la collera degli indiani.
Dopo il trattato che riconosceva queste terre come appartenenti agli Indiani, il rinvenimento di pepite fa affluire i cercatori verso il territorio dei Sioux.
In piena corsa all’oro (una vera frenesia del momento) sembra che i cercatori preferiscano essere scotennati piuttosto che rischiare di morire poveri.
Il 17 settembre del 1875, una commissione incontra ufficialmente i capi Sioux Sitting Bull (il leggendartio Ta-Tanka I-Yotank), Red Cloud, Spotted Tail, Little Big Man e Crazy Horse.
Ma all’unanimità questi rifiutano le proposte fatte dagli Stati Uniti per acquistare il territorio.

Il conflitto diventa inevitabile.
Ed inizialmente le perdite subite dall’esercito durante queste guerre indiane, sono pari alla somma delle perdite avutesi nei due campi avversi durante la guerra di Secessione (come da rapporto del generale Sheridan).

E molta eco ebbe la disfatta di Little Bighorn.

A proposito di Little Bighorn …
Il 17 maggio del 1876 dal cortile del Forte Lincoln, nel Dakota, le compagnie del 7° Reggimento di Cavalleria si mettono in marcia sotto il comando del colonnello Custer.
Custer pur essendo risultato ultimo a West Point, è promosso maggiore-generale dopo la battaglia di Bull Runn. E’ soprannominato «Boy General», coltiva amicizie politiche, relazioni pubbliche, e si confida spesso con i giornalisti.
La sciabola regolamentare è stata soppressa. Ma Custer la porta sempre al fianco, con inciso questo motto: «Non tirarmi fuori mai dal fodero senza una giusta causa, non ripormi mai senza aver vinto».
Gli uomini sono dotati del nuovo revolver Colt SAA.
I cavalieri del 7° sono anche equipaggiati con il vecchio fucile Springfield ad un colpo, i cui bossoli sono di metallo leggero, deformabile, che fanno inceppare la culatta in caso di tiro prolungato.
Ma soprattutto il quaranta per cento degli uomini sono nuove reclute.

Dopo cinque settimane di marcia forzata avvistano una importante pista indiana che porta alla vallata della Little Bighorn. Custer invece di attendere la colonna del generale Terry (che per altro aveva in dotazione tre mitragliatrici Gatling) il mattino del 24 giugno del 1876, dopo aver cavalcato tutta la notte, arriva in vista del fiume Little Bighorn. Custer divide le sue forze in tre colonne per accerchiare gli Indiani; ma le colonne si perdono di vista.
Nascosti nei numerosi burroni, più di duemila guerrieri Sioux e Cheyennes, condotti da Crazy Horse in persona, sono in attesa.
A più di dieci contro uno, gli indiani attaccano.

Il 7° cavalleria contava di 31 ufficiali, 586 soldati, 33 scout indiani e 20 civili.
Non tutti morirono.
Quando il fumo si diradò, 262 erano morti e 68 feriti, 6 dei quali perirono più tardi per
le ferite riportate. Il battaglione di Custer, composto dalle compagnie C, E, F, I ed L, fu spazzato via, mentre la maggior parte delle altre compagnie, sotto il comando di Reno e Benteen, sopravvisse.
In seguito solo le confidenze dei vecchi indiani permetteranno di ricostruire i fatti.

La maggior parte dei soldati sono caduti subito, al primo attacco.
Una piccola truppa trincerata dietro i cadaveri dei cavalli tenta di resistere per qualche istante. Ma quasi tutti gli Springfields dopo vari colpi diventano lenti nel riarmo; e prima di aver potuto ricaricare i revolver Colt i soldati crollano sotto le frecce e le pallottole degli indiani.

Nei primi istanti dell’imboscata, gli indiani hanno un armamento inferiore a quello dei soldati: in generale fucili e revolvers a capsula, ad avancarica.
Ma dopo il primo attacco di successo, s’impossessano delle armi dei morti per usarle contro i superstiti. E così i Sioux ed i Cheyennes, a Little Bighorn, riescono ad impossessarsi di cinquecentonovantadue tra carabine e revolver della cavalleria.

L’armamento di ordinanza dei soldati di George Armstrong Custer prevedeva la carabina “US Springfield mod. 1873” in calibro 45-70-405, che era un’arma mono-colpo con il sistema di chiusura “trapdoor”, in cui il blocco-otturatore veniva ribaltato in avanti per caricare e scaricare. Oltre a questo, ogni cavalleggero era munito di un revolver Colt modello SAA 1873 a sei colpi calibro 45.

Le sciabole, anch’esse in dotazione, erano state lasciate alla base dietro preciso ordine di Custer, anche se alcuni ufficiali non tennero conto dell’ordine e le portarono con sé; tra questi anche l’italiano tenente Carlo DeRudio.
Il difetto nell’armamento è imputato in genere alla carabina Springfield, perché pare che i bossoli in rame (quindi un metallo abbastanza morbido) dopo alcuni colpi sparati restassero bloccati (letteralmente incollati) nella camera di cartuccia; e quando si forzava l’apertura per scaricare, l’estrattore tendeva a strappare il fondello del bossolo rendendo l’arma inservibile. Oltretutto, queste carabine non avevano come accessorio in dotazione la “bacchetta di pulizia”, e per la rimozione del bossolo ormai deformato si doveva provvedere con la punta di un coltello. Con tutti i ritardi del caso e per giunta nel caos sotto l’assalto nemico.
Inoltre i revolver Colt erano stati scaricati velocemente quando la distanza del nemico era eccessiva per sperare in un qualche risultato.

I soldati di Custer, quindi, dopo pochi colpi si trovarono praticamente disarmati.
Questo problema è stato parzialmente confermato dai molti studiosi che si sono dedicati al Little BigHorn; problema che unitamente alla sproporzione numerica tra soldati e nativi potrebbe essere tra le reali cause della sconfitta.
Ma le cose stanno esattamente così?
Le cartucce in “calibro 47-70-405 government” al momento della loro “nascita” (1865) erano dotate di un bossolo in rame; se ne trovavano anche con un bossolo più resistente, in lega “Bloomfield”, che tecnicamente era ottone; ma non erano così diffuse.
Le cartucce in dotazione alle carabine Springfield Trapdoor 1873 erano caricate con una dose di propellente notevolmente inferiore alla “normale” carica; anzichè i “regolari” 70 grani di polvere nera, per ridurre il forte contraccolpo fu deciso di adottare una carica a soli 55 grani. Con conseguenze sulla potenza e sulla traiettoria del proiettile.
Un altro fattore negativo, indipendente dalla cartuccia in se, era generato dalla scarsissima cura che i soldati avevano per la conservazione delle munizioni; anzichè usare le apposite scatole, usavano riporle sciolte nella giberna dove potevano ammaccarsi o deformarsi; a peggiorare la situazione, c’erano l’umidità, il sudore e l’acido della concia del cuoio, che le portavano a ricoprirsi di “verdigris” (verderame)…
Tutti questi fattori favorivano l’inceppamento.

Ma il vero problema erano i soldati.
I soldati erano dei pessimi tiratori.
In primis per la mancanza di un adeguato addestramento, come ci dice la testimonianza di un ufficiale di cavalleria dell’epoca: una ventina di colpi all’anno sparati perlopiù alla selvaggina di passaggio.
Una scarsa abilità nel tiro che caratterizzava moltissimi reggimenti dell’epoca, soprattutto per la scarsità di addestramento. In quel periodo di ristrettezze economiche per l’esercito, e per le difficoltà di approvigionamento in quei territori “di frontiera”, bisognava risparmiare anche sui colpi!
E tutto sommato gli uomini di Custer si comportarono meglio di altri reggimenti in altre battaglie.
Ad esempio nella battaglia di Rosebud, nella quale furono coinvolti i soldati del Generale Crook, i 1.300 soldati spararono in sei ore circa 25.000 colpi, meno di 20 a testa. Ipotizzando che i soldati abbatterono circa cento indiani (in realtà furono molti meno…), abbiamo il risultato di un colpo a segno ogni 250 sparati !!
Ma se usiamo le cifre più vicine alla realtà, cioè una cinquantina di indiani morti, registriamo un colpo a segno ogni 500 sparati !!
I soldati di Custer avevano a disposizione più di 80.000 cartucce e altre ne avevano di scorta sui carri; in due giorni spararono circa 42.000 colpi (65 a testa). Contando 304 indiani caduti, significa un centro ogni 138 colpi !
Ma è più plausibile che i caduti tra i nativi siano stati circa 200 (forse anche meno), per cui il risultato finale sarebbe di un colpo a segno ogni 168 sparati !
I numeri dei colpi sparati ci confermano anche che tutto sommato i fucili non si incepparono molte volte.
Forse le cause furono altre ….

Di certo vi fu da parte di Custer una certa fretta di attaccare; senza attendere il posizionamento degli altri reggimenti. E senza dare tempo alle proprie truppe di rimettersi in forze dopo le tappe forzate di avvicinamento.
E senza attendere le micidiali Gatling in dotazione alle colonne di Terry; con cui per altro si era concordato un accerchiamento “a tenaglia”.
E senza tenere in considerazione alcuni avvertimenti degli scout.

Ma soprattutto vi fu una sottovalutazione delle forze indiane; indiani che nel frattempi si erano accorti dell’arrivo dei soldati; indiani che stavano radunandosi in quei luoghi facendo confluire tutte le tribù Lakota, alcune Nakota e Dakota e un centinaio di tende degli Cheyenne Settentrionali.

Il villaggio sul Little Bighorn conteneva, probabilmente, più di 2.000 guerrieri in età da combattimento, e 8.000 persone non combattenti (ma comunque di supporto).

Altri elementi che concorsero alla sconfitta furono la mancanza di comunicazioni tra i reggimenti, dovuta certamente alle difficoltà dell’epoca, ma anche alla scarsa conoscenza del terreno, che rese difficilissimo il coordinamento tra le truppe (con corrieri che dovevano spostarsi a cavallo o a piedi).
Scarsa conoscenza del terreno che influì anche sulla valutazione delle forze indiane, in parte “oscurate” dagli avvallamenti in cui si erano trovati alcuni osservatori.

Al momento dell’attacco, quando Custer si spostò dal luogo in cui si trovava, scoprì che il terreno intorno era abbastanza accidentato e costringeva i soldati a passare in percorsi tortuosi con un elevato dispendio di energie di uomini e cavalli, che erano già provati dalle tappe forzate imposte nei giorni precedenti.
Una colonna al comando del maggiore Reno impiegò quasi un’ora per percorrere circa due miglia, lo spazio che lo separava dal primo contatto con i guerrieri indiani.

Nel corso della battaglia del fiume Little Bighorn morirono 268 militari del 7° Cavalleria. Il numero dei caduti tra gli indiani non è certo; da diverse testimonianze indiane si stima tra 36 e 130. Gli indiani portavano via i loro morti e nessun corpo indiano venne ritrovato all’arrivo del gen. Terry e del col. Gibbon, che raggiunsero il luogo del disastro il giorno successivo.
Trovarono invece il mag. Reno e Benteen con i loro soldati, e tutti erano in condizioni abbastanza misere. Con loro iniziò il difficile compito di identificare i caduti del 7° Cavalleria.

Il caldo soffocante ed i corpi straziati dal passaggio delle famiglie indiane (che praticavano tagli rituali), accelerarono il processo di decomposizione; ci vollero quasi quattro giorni per un sommario riconoscimento. Poi i caduti furono seppelliti nel punto in cui erano stati ritrovati. Le lapidi con l’indicazione del nome e del grado, insieme a quelle che indicano alcuni guerrieri indiani (apposte successivamente) sono ancora lì sul promontorio e nei dintorni del fiume Little Bighorn.

La morte di Custer e dei suoi uomini suscitò la durissima reazione del governo degli Stati Uniti. La grande riserva Sioux fu sottoposta alla legge marziale, venne imposta la consegna di tutte le armi e di tutti i cavalli in possesso agli indiani e fu impedito l’accesso e la caccia nei cosiddetti “territori non ceduti” (che era poi l’obiettivo della campagna governativa).

Complice anche il terribile inverno di quell’anno, che colpì pesantemente le tribù indiane, ben presto i soldati costrinsero tutti i gruppi “ostili” alla resa.
Anche il grande capo Cavallo Pazzo venne ucciso l’anno successivo a Fort Robinson.
Toro Seduto, invece, riuscì a fuggire in Canada dove visse tra alti e bassi per un certo periodo.
L’intera area delle Black Hills e molti altri territori lungo il confine occidentale della Grande Riserva Sioux vennero interamente trasferiti sotto la giurisdizione del governo statunitense.

Custer divenne ancor più famoso, anche grazie all’instancabile opera della moglie Elizabeth che ne difese la memoria e che accusò gli altri ufficiali (principalmente Benteeen e Reno) della disfatta.
Pur rischiando gravi accuse, vi furono diverse voci che ritennero Custer il primo colpevole della sconfitta. In particolare per aver rifiutato l’aiuto di quattro ulteriori compagnie (2° Cavalleria) e per non aver atteso la altre sue compagnie.

Per chi è interessato ad approfondire gli eventi del 25 giugno 1876, consiglio le pagine del bellissimo sito farwest.it: La battaglia di Little BigHorn
Nello stesso sito vi sono molte altre pagine dedicate a testimonianze, ricostruzioni, e report di esperti sulla battaglia e sulle armi impiegate nella stessa.